Innanzitutto è bene ricordare che il cosiddetto Jobs Act è una legge delega e quindi prevede l’emanazione da parte del Governo di specifici Decreti legislativi.
Il Jobs Act prevede l’attuazione da parte del governo di molte e complesse deleghe, con l’intento di riformare grande parte del diritto del lavoro:
Allo stato come ben sapete sono stati approvati in Consiglio dei Ministri (alla vigilia di Natale come è noto) 2 decreti:
- Disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti
- Riordino della normativa in materia di ammortizzatori sociali in caso di disoccupazione involontaria e di ricollocazione dei lavoratori disoccupati.
Contratto a tutele Crescenti
Il provvedimento nel suo insieme oltre che generalizzare la pratica della precarizzazione dei rapporti di lavoro, divide i lavoratori tra chi un lavoro ce l’ha e i nuovi assunti. Esattamente il contrario di ciò di cui ha bisogno il mondo del lavoro e cioè superare le divisioni e le contrapposizioni introdotte da una vasta e diffusa legislazione su rapporti e tipologie di lavoro che hanno indebolito ed impoverito il lavoro.
Il contratto a tutele crescenti è applicabile a tutti i contratti a tempo indeterminato instaurati a partire dall’entrata in vigore del decreto stesso.
Non possiamo perciò che ribadire in materia il nostro giudizio negativo, (ricordiamo che CGIL e UIL hanno scioperato il 12 dicembre contro questi provvedimenti) e cioè che il cosiddetto Contratto a tutele crescenti non è altro che un ridimensionamento strutturale dei diritti in materia di licenziamento.
A chi si applica la nuova normativa?
- A tutti i rapporti di lavoro a tempo indeterminato accesi dall’entrata in vigore del decreto per l’assunzione di operai, impiegati e quadri
La nuova normativa sul licenziamento poggia su tre criteri generali:
- la limitazione generalizzata del ruolo del giudice
- il licenziamento illegittimo dà diritto ad una indennità economica salvo i casi di:
- di nullità, motivo illecito e/o discriminatorio e forma orale (cioè in pratica viene ripristinato ab origine il rapporto illecitamente interrotto)
- disciplinare nel quale la prova dell’insussistenza del fatto materiale sia comprovata in giudizio dal lavoratore e con l’inibizione al giudice della valutazione di congruità ai fini della reintegra
Le indennità economiche a cui il datore di lavoro è assoggettato per illegittimità del licenziamento (compresa quella che il lavoratore può richiedere per rinunciare alla reintegra per licenziamento discriminatorio) sono predeterminate e senza contribuzione previdenziale. In sostanza la forma ordinaria di sanzione per il licenziamento illegittimo è l’indennità economica peraltro predeterminata e solo in pochi e residuali casi la reintegra è ancora ammessa.
Come previsto dalla Legge Fornero il licenziamento rimane di tre tipi:
- discriminatorio, motivo illecito,
- disciplinare
- economico (discutibile espressione volutamente generica)
Sul licenziamento discriminatorio (genere,opinioni sindacali e politiche, razza, religione, orientamento sessuale) non ci soffermiamo particolarmente. In Italia, per il momento, si tratta di casi residuali
Per il licenziamento disciplinare si è in sostanza cercato di “tagliare le gambe” alla possibilità del lavoratore di difendersi, infatti:
- del fatto contestato il lavoratore deve provare in giudizio la non esistenza, spetta al datore la prova della legittimità del motivo addotto
- il fatto è definito come fatto materiale e non come fattispecie giuridica. In pratica se sono accusato di aver rubato un trapano devo dimostrare che il trapano non l’ho preso; ma se poi l’ho preso per fare un lavoro (magari con l’autorizzazione) dovrei poter dimostrare che non è furto e quindi che il fatto “furto” scritto sulla mia lettera di licenziamento non sussiste.
- l’accertamento attraverso un giudice non può riguardare l’eventuale sproporzione tra il fatto contestato e la sanzione del licenziamento. Il che vuol dire che una mancanza lievissima purché avvenuta rende legittimo il licenziamento.
L’indennità per licenziamento illegittimo è “crescente”, come da titolazione delle “tutele” del nuovo contratto a tempo indeterminato: 2 mensilità della retribuzione globale di fatto per ogni anno di servizio con minimo 4 e massimo 24 senza contribuzione previdenziale.
A tale cifra va eventualmente sottratto ciò che nel frattempo ha percepito da altre attività lavorative compreso quanto avrebbe potuto percepire nello stesso periodo per una congrua offerta di lavoro a tempo pieno ed indeterminato o determinato o di lavoro (come si farà a contestare questi eventi al lavoratore poi è un vero mistero!)
In sostanza se tra il licenziamento e la reintegra trascorrono più di 12 mesi il lavoratore subisce una penalizzazione.
L’ultimo comma dell’articolo introduce l’abolizione della procedura obbligatoria di conciliazione dalla legge Fornero, presso l’Ufficio provinciale del lavoro con la possibilità di farsi rappresentare dal sindacato. Un accanimento davvero ingiustificabile.
- Per i vizi formali o procedurali l’indennità è di 1 mensilità per anno non inferiore a 2 e non superiore a 12 sempre senza contribuzione previdenziale. Sono identificati come vizi procedurali la non indicazione dei motivi, che comunque devono esserci altrimenti siamo in presenza di violazione passibile di nullità.
- Per il licenziamento per giustificato motivo oggettivo, definito dopo la Fornero, con l’orrendo termine di “economico” le novità sono molto rilevanti:
- si conferma che per i licenziamenti “economici” illegittimi c.d. individuali (sotto i 5) è prevista solo l’indennità ( 2 mesi etc)
- si cambiano le disposizioni Fornero e si introduce l’incredibile principio che per i licenziamenti collettivi la non applicazione dei criteri di scelta previsti dalla legge o dagli accordi sindacali è sanzionato solo con l’indennità. Il divieto al giudice che accerta la disapplicazione dei criteri di intimare il reintegro mina la portata stessa della funzione di tutela su parametri che non determinino discrezionalità e discriminazioni, coerentemente con gli orientamenti comunitari.
- per il rito giudiziario si stabilisce che per i nuovi assunti a tutele crescenti non è applicabile quanto previsto dalla Legge Fornero in materia obbligo di fissare l’udienza da parte del giudice a seguito dell’impugnativa del licenziamento da parte del lavoratore, norma che agisce come deterrente verso il ricorso giudiziario e indirettamente come incentivo ad accelerare i tempi di risoluzione tuttavia privilegiando l’opzione meno vantaggiosa per il lavoratore.
A cura di Graziella Rogolino (Segreteria Regionale CGIL-Mercato del lavoro)
Rielaborato da Fisac Cgil Asti