Con sentenza n. 70 del 10 marzo 2015, depositata il 30 aprile 2015, la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 24, comma 25, del decreto legge n. 201/2011 (Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici), convertito con modifiche dalla legge n. 214/2011, nella parte in cui prevede che «In considerazione della contingente situazione finanziaria, la rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici, secondo il meccanismo stabilito dall’art. 34 della legge n. 448/1998, è riconosciuta, per gli anni 2012 e 2013, esclusivamente ai trattamenti pensionistici di importo complessivo fino a 3 volte il trattamento minimo INPS, nella misura del 100 per cento».
In estrema sintesi, la c. d. “riforma Fornero” aveva bloccato l’adeguamento al costo della vita per il biennio 2012-13 per tutte le pensioni eccedenti l’importo di euro 1405 lordi (per il 2012) e di euro 1441 lordi (per il 2013).
Questa recentissima pronuncia si pone sulla scia di una precedente sentenza della Corte Costituzionale, la n. 316/2010, che aveva considerato legittima le legge n. 247/2007 in relazione all’azzeramento per l’anno 2008 della perequazione delle pensioni d’importo superiore a 8 volte il trattamento minimo INPS; in tale caso, la Corte aveva considerato ragionevole l’intervento, in quanto riguardava una fascia di pensioni elevate e per un solo anno.
Nella stessa sentenza n. 316/2010, tuttavia, la Corte aveva rivolto un monito al legislatore, osservando come la sospensione a tempo indeterminato del meccanismo perequativo, o la frequente reiterazione di misure intese a paralizzarlo, entrerebbero in collisione con gli invalicabili principi di ragionevolezza e proporzionalità: il rischio era che “le pensioni, sia pure di maggiore consistenza, potrebbero non essere sufficientemente difese in relazione ai mutamenti del potere d’acquisto della moneta”.
E’ di tutta evidenza come, rispetto al blocco disposto con la legge del 2007, la c.d. “legge Fornero” del 2011 fosse nettamente peggiorativa: non a caso, tale legge fu oggetto di un’interrogazione parlamentare (Senato della Repubblica, seduta n. 93, interrogazione presentata l’8 agosto 2013, n. 3 – 00321) in cui si chiedeva al Governo se intendesse promuovere la revisione del provvedimento, alla luce della giurisprudenza costituzionale. Ma tale interrogazione rimase inevasa.
Riguardo alla “legge Fornero” la Corte Costituzionale ha ritenuto che il legislatore abbia valicato i limiti di ragionevolezza e proporzionalità con conseguente pregiudizio per il potere di acquisto del trattamento stesso, ignorando il precedente monito contenuto nella sentenza n. 316/2010 ed ha concluso che :
“Risultano intaccati i diritti fondamentali connessi al rapporto previdenziale, fondati su inequivocabili parametri costituzionali: la proporzionalità del trattamento di quiescenza, inteso quale retribuzione differita (art. 36, primo comma, Cost.) e l’adeguatezza (art. 38, secondo comma, Cost.). Quest’ultimo è da intendersi quale espressione certa, anche se non esplicita, del principio di solidarietà di cui all’art. 2 Cost. e al contempo attuazione del principio di eguaglianza sostanziale di cui all’art. 3, secondo comma, Cost.”
L’osservazione politica che si può fare riguardo a tale sentenza è di un’assoluta linearità: il bilancio non può diventare il principio unico e assoluto al quale devono essere subordinati tutti i diritti costituzionali.
Sent. Corte Costituzionale n. 70 del 10/03/2015Con sentenza n. 70 del 10 marzo 2015, depositata il 30 aprile 2015, la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 24, comma 25, del decreto legge n. 201/2011 (Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici), convertito con modifiche dalla legge n. 214/2011, nella parte in cui prevede che «In considerazione della contingente situazione finanziaria, la rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici, secondo il meccanismo stabilito dall’art. 34 della legge n. 448/1998, è riconosciuta, per gli anni 2012 e 2013, esclusivamente ai trattamenti pensionistici di importo complessivo fino a 3 volte il trattamento minimo INPS, nella misura del 100 per cento».
In estrema sintesi, la c. d. “riforma Fornero” aveva bloccato l’adeguamento al costo della vita per il biennio 2012-13 per tutte le pensioni eccedenti l’importo di euro 1405 lordi (per il 2012) e di euro 1441 lordi (per il 2013).
Questa recentissima pronuncia si pone sulla scia di una precedente sentenza della Corte Costituzionale, la n. 316/2010, che aveva considerato legittima le legge n. 247/2007 in relazione all’azzeramento per l’anno 2008 della perequazione delle pensioni d’importo superiore a 8 volte il trattamento minimo INPS; in tale caso, la Corte aveva considerato ragionevole l’intervento, in quanto riguardava una fascia di pensioni elevate e per un solo anno.
Nella stessa sentenza n. 316/2010, tuttavia, la Corte aveva rivolto un monito al legislatore, osservando come la sospensione a tempo indeterminato del meccanismo perequativo, o la frequente reiterazione di misure intese a paralizzarlo, entrerebbero in collisione con gli invalicabili principi di ragionevolezza e proporzionalità: il rischio era che “le pensioni, sia pure di maggiore consistenza, potrebbero non essere sufficientemente difese in relazione ai mutamenti del potere d’acquisto della moneta”.
E’ di tutta evidenza come, rispetto al blocco disposto con la legge del 2007, la c.d. “legge Fornero” del 2011 fosse nettamente peggiorativa: non a caso, tale legge fu oggetto di un’interrogazione parlamentare (Senato della Repubblica, seduta n. 93, interrogazione presentata l’8 agosto 2013, n. 3 – 00321) in cui si chiedeva al Governo se intendesse promuovere la revisione del provvedimento, alla luce della giurisprudenza costituzionale. Ma tale interrogazione rimase inevasa.
Riguardo alla “legge Fornero” la Corte Costituzionale ha ritenuto che il legislatore abbia valicato i limiti di ragionevolezza e proporzionalità con conseguente pregiudizio per il potere di acquisto del trattamento stesso, ignorando il precedente monito contenuto nella sentenza n. 316/2010 ed ha concluso che :
“Risultano intaccati i diritti fondamentali connessi al rapporto previdenziale, fondati su inequivocabili parametri costituzionali: la proporzionalità del trattamento di quiescenza, inteso quale retribuzione differita (art. 36, primo comma, Cost.) e l’adeguatezza (art. 38, secondo comma, Cost.). Quest’ultimo è da intendersi quale espressione certa, anche se non esplicita, del principio di solidarietà di cui all’art. 2 Cost. e al contempo attuazione del principio di eguaglianza sostanziale di cui all’art. 3, secondo comma, Cost.”
L’osservazione politica che si può fare riguardo a tale sentenza è di un’assoluta linearità: il bilancio non può diventare il principio unico e assoluto al quale devono essere subordinati tutti i diritti costituzionali.
Sent. Corte Costituzionale n. 70 del 10/03/2015
15 Maggio 2015