Da Repubblica.it – L’inchiesta. Una coppia di lavoratori trentenni in giro tra le agenzie degli istituti di credito per chiedere un finanziamento immobiliare. Uno con impiego stabile e l’altro con il contratto a tutele crescenti. Due giorni di colloqui tra simulazioni e tabelle.
MILANO – L’impiegata sgrana gli occhi: “Eh?!”. Sembra non averne mai sentito parlare. Il direttore di filiale chiede di cosa si tratti e alla fine prova a empatizzare, con dubbio successo: “Tutele crescenti”, sì come no, quante se ne inventano…”. C’è uno spettro che si aggira per le banche e si chiama “Jobs Act”, o meglio: il nuovo contratto a tempo indeterminato senza articolo 18, cioè quello che a breve sarà l’unico capace di garantire le assunzioni non a termine. Se ne parla mesi ma gli istituti di credito non lo conoscono, non sanno valutarlo, non sanno insomma se ha lo stesso peso specifico del vecchio indeterminato; anche se, da una prima occhiata, parrebbe proprio di no. E quindi in fin dei conti il destino di chi nei prossimi mesi (e anni) vorrà provare a ottenere un mutuo sarà ancora una volta aggrappato alle garanzie delle mamme o dei papà muniti del contratto classico o di una buona pensione.
Due giorni di colloqui, tra simulazioni, tabelle, tassi e grafici, in dieci banche: grandi, piccole, italiane o straniere. Nonostante le ottime credenziali di partenza – se non invidiabili per il contesto lavorativo e generazionale – riceviamo tre no, quattro forse, un solo sì e due non risposte a un prestito per l’acquisto della prima casa. Lui: 30 anni, geometra, un contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti appena firmato, 1.600 euro al mese e tredicesima; lei: trentenne, grafica, un vecchio contratto a tempo indeterminato a 1.200 euro al mese e tredicesima. Una casa da 200mila euro individuata in un quartiere della semiperiferia milanese e una somma di tutto rispetto da anticipare, cioè 70mila euro. In condizioni “normali”, i nostri parametri sarebbero perfetti: chiediamo “solo” il 65 per cento del valore della casa (il massimo è l’80); puntando su un mutuo di 25 o 30 anni, il rapporto tra reddito totale e rata del prestito è molto al di sotto della soglia massima del 35 per cento; non abbiamo altre rate sulle spalle, né protesti o altro, siamo candidi come colombe. Eppure no, nessuna certezza di farcela da soli, neanche così.
Prima banca, la grande Bnl-Bnp Paribas. Davanti al dilemma dei dilemmi (“cos’è questo tutele crescenti?”) l’impiegata chiama la superiore che, molto sinceramente, ci dice le cose come stanno: “Ci rientrate in teoria, ma il problema è il contratto da 1.600 euro: credo non faccia cumulo, servirà un garante”. In casa Unicredit non ci si espone, ma sono i piccoli segnali quelli che contano: “Facciamo la scheda, va bene se parto con i dati della ragazza?”. Che tra i due è quella con lo stipendio più basso, ma considerato – a torto o a ragione – davvero garantito. Alla Monte dei Paschi c’è la lunga ed edificante premessa che fa sperare per il meglio: “Il mondo cambia e anche noi dobbiamo adeguarci e avvicinarci alle esigenze e ai mutamenti nel mercato del lavoro”, ragiona il giovane impiegato. Ma stringi stringi e la valutazione non si avvicina molto a “esigenze” e “mutamenti”: “Serve uno storico per far acquisire peso alla pratica, se tornate fra 3 o 6 mesi con le buste paga del nuovo contratto è meglio”. Ovvero quando la nostra casa, probabilmente, se la sarà comprata qualcun altro.
Nel mondo delle popolari la situazione cambia di poco. Alla Bpm ci ricordano che servono dai sei mesi ai due anni di lavoro a tempo indeterminato alle spalle per rassicurare gli eventuali creditori. E allora “per sicurezza cominciate a sentire i vostri genitori, o gli zii”. Pure in Bp Lodi ci si augura che “la riforma ci permetta di stare al passo coi tempi, anche se per ora non abbiamo ricevuto comunicazioni di nessun tipo”. Per non sbagliarsi meglio tranquillizzare il centro decisionale con una bella assicurazione contro la perdita del lavoro. Costo: 12mila euro. Il direttore della Crediparma chiede cosa significhi “tutele crescenti”: “Nel senso che man mano che uno va avanti si guadagna di più?”. Alla risposta – cioè che d’ora in poi il licenziamento sarà monetizzabile – il consiglio, a parte trovarsi il famoso garante, è anche qui l’assicurazione contro la perdita dell’impiego da incorporare al mutuo. In Banca Etruria sono gentilissimi, premettono che l’istituto è commissariato, ma sulla questione Jobs Act, un po’ come tutti gli altri, brancolano nel buio, “magari ci risentiamo tra qualche giorno”.
Alla Bp Vicenza clima molto informale, da mutuo tagliato su misura e fatto in casa, “qui decide il nostro direttore di filiale”. Se non va, sai chi ti ha detto no, ha un nome e un volto. Un modo per acquisire punti ci sarebbe: comprarsi almeno 100 azioni della banca, così si diventa soci e si risparmia sui tassi. Servono 6-7mila euro per l’operazione; sarà un cattivo pensiero, ma pare quasi di comprarsi un “sì”. C’è solo un istituto dove la riforma “epocale” sembra essere presa in considerazione ed è Deutsche Bank. Il consulente non ha neanche trenta anni, forse è per quello che non fa la faccia strana di fronte alla menzione del nuovo contratto: “Se non lo diamo a voi il mutuo, a chi dobbiamo darlo?”. Sarà una iniezione di fiducia per non deprimerci o davvero hanno una politica ad hoc ? “Non abbiamo direttive ma non vedo quale sia il problema, è sempre un tempo indeterminato “. Su un punto il nostro interlocutore è davvero sicuro, più che altro è una profezia: “Comunque vedrete, nei prossimi mesi il costo dell’assicurazione contro la perdita di lavoro schizzerà. Fatela ora finché il prezzo è umano”.